Teatro

Ming Wong, l'occhio creatore del regista

Ming Wong, l'occhio creatore del regista

Avete mai provato la sensazione di essere dentro un film? Non nel senso di compenetrarsi nelle vicende dei personaggi, al punto di soffrire e gioire insieme a loro man mano che vengono raccontate dalle immagini le loro vicissitudini; piuttosto la sensazione di essere fisicamente dentro un film, di esserne circondati a tutto tondo, di sentirsi liberi di entrarvi e di uscirne a vostro piacimento, di curiosare in punta di piedi nella storia di un personaggio, dando sfogo ad un sano e lecito voyeurismo intellettuale, oppure scegliere di abbandonarlo perché attratti da un’immagine che fa improvvisamente capolino proprio dietro l’angolo. Entrare come semplici spettatori che si accingono a fruire passivamente la narrazione di una storia, impotenti nel loro ruolo di pubblico, e invece, nel varcare la soglia della sala, inaspettatamente trasformarsi in un istante in registi dello spettacolo che si va ad assistere, liberi di tagliare le scene, di fare dei flashback sulla storia di un personaggio quante volte si vuole, far dire una battuta e interromperla con un silenzio.

Ecco cosa succederà a chi andrà a vedere Devo partire. Domani, la videoinstallazione diretta ed interpretata dal videomaker di Singapore Ming Wong, prodotta dal Napoli Teatro Festival Italia. Sarà possibile assistere alle proiezioni fino al prossimo 27 giugno (tranne nei giorni 8, 15, 22) presso il PAN, Palazzo delle Arti Napoli, dalle 10 alle 14 e dalle 16 alle 20, con ingresso libero.

Ispirato al capolavoro di Pier Paolo Pasolini, “Teorema”, questo puzzle visivo è sparpagliato in cinque diverse sale, dove scorrono contemporaneamente le immagini che raccontano le storie di cinque membri di una famiglia, ciascuno dei quali è protagonista del suo “pezzo” di film, con Ming Wong che di volta in volta veste i panni di ciascuno di loro. Ma lungi dall’essere un remake di Teorema, Devo partire. Domani è un lavoro in cui la trama del film pasoliniano è solo un punto di riferimento, con il quale non è possibile fare paragoni, come lo stesso regista suggerisce per bocca di uno dei protagonisti, un videomaker appunto, che mentre la macchina da presa gradatamente sfuoca il suo primo piano afferma la necessità di sperimentare continuamente tecniche nuove, in modo da non consentire di fare dei confronti, perché consapevole di non essere in grado di poterli sostenere.

Oltre al canovaccio del racconto, di matrice pasoliniana, ritroviamo anche l’ambientazione, una Napoli bella e dannata, a tratti lunare negli scorci sul Vesuvio, che il regista ci mostra impietosamente attraverso le sue periferie abbandonate all’incuria totale, un arido deserto non solo materiale ma anche spirituale, che rievoca le periferie di “Mamma Roma” e “Uccellacci e Uccellini”. Un sesto personaggio, la città, violentata dal degrado, che irrompe in ognuno dei cinque episodi, alla cui bellezza Wong però rende giustizia regalando allo spettatore un panorama mozzafiato tinto di rosso al tramonto.

Dopo il successo di Life of Imitation, che ha ricevuto una menzione speciale alla Biennale di Venezia nel 2009, un altro esperimento ben riuscito, dunque, per questo giovane videoartista, che è stato capace di mantenersi fedele allo spirito che permea il film di Pasolini, ma allo stesso tempo di raccontarlo con un linguaggio innovativo ed originale.